giovedì 26 maggio 2011

1) Trilogia su David Foster Wallace - Parentesi

Secondo me è stata la parentesi tonda aperta e chiusa. Voglio dire. Secondo me è stata la parentesi. Ci sono delle parentesi che non significano niente, ci sono delle parentesi addirittura assurde, per esempio quelle che stanno negli esercizi di matematica o di algebra, come si dice, ecco, di quelle parentesi lì è sicuro che io non ci ho mai capito un’acca, e poi ci sono delle altre parentesi ancora. Quando capita una di queste parentesi che dico io, queste altre, tonde, che contengono numeri, e questi numeri sono in verità delle date di nascita e di morte, precedute da un nome e un cognome, allora vuol dire che il titolare di quel nome e cognome è nato e morto e che quella parentesi racchiude in due numeri separati da un trattino l’anno in cui il tizio è nato e l’anno in cui gli è capitato in sorte di morire. Ecco quali sono le parentesi di cui sto parlando: sono queste parentesi, non altre, che possono, a seconda dei casi, illuminarti la giornata oppure spegnertela.


Una di queste parentesi me la sono trovata sotto gli occhi l’altra sera, in macchina, e allora l’ho guardata, ho guardato la parentesi coi numeri dentro, stampati accanto al nome e al cognome del mio scrittore preferito, e m’è sembrato che un sacco di cose fossero in qualche modo destinate a finire contro un muro in questa vita e in tutte le altre possibili. Il libro del mio scrittore preferito stava tra le mani di Alberto, gliel’avevo regalato io, sul sedile posteriore c’era anche Federico, e tutti quanti noi amici stavamo andando a una cena a Bracciano, una di quelle riunioni con persone di cui s’era perduta traccia per qualche motivo un fottio d’anni prima. Allora Alberto ha tirato fuori il libro del nostro scrittore preferito e abbiamo dato un’occhiata al risvolto della quarta di copertina mentre Federico era a comprare le sigarette: è stato così che abbiamo scoperto la parentesi tonda con dentro i numeretti. È stato per questo che abbiamo cominciato a parlarne, del nostro scrittore preferito. Era la prima volta che vedevamo due numeri: di solito, siccome il nostro scrittore preferito, fino a qualche settimana prima, era giovane e, soprattutto, era vivo, accanto al suo nome, nei libri, ci stava soltanto un numero, quello di nascita, perciò era soltanto a quello che noi, suoi lettori appassionati, eravamo abituati. Quando abbiamo visto la novità, nonostante fossero già un sacco di giorni che parlassimo e discutessimo di questa morte, della morte del nostro scrittore preferito, e, dunque, nonostante la morte del nostro scrittore preferito fosse stata ampiamente masticata, se non digerita, di sicuro esorcizzata, seppure non compresa, perché una morte così, che coglie un uomo giovane e tanto brillante, non la può comprendere nessuno, valla a spiegare una morte per impiccagione, valla a spiegare, non la spieghi mica, te la tieni, come una camicia di una misura troppo grande di cui hai perduto lo scontrino, te la tieni una morte così, almeno finché non ti imbatti in una di quelle parentesi, quelle importanti, quelle coi numeri dentro separati da un trattino, ed è stato per questo, dicevo, che quando abbiamo visto la novità sul risvolto della quarta di copertina, non so come dirlo, è stato come se questa morte stranissima avesse fatto un giro ben lungo e fosse tornata indietro a colpirci sui visi con buffetti di intesa. Ci abbiamo fatto amicizia, ecco, con questa morte. Con la morte del nostro scrittore preferito. Non ce la siamo spiegata, per i motivi che ho già detto, ma ci abbiamo stretto un patto. Un patto di non belligeranza.

Comunque, poi siamo andati a Bracciano e tutto il resto. Federico seduto dietro e Alberto davanti. Abbiamo acceso la lucetta dell’abitacolo e Alberto ha letto ad alta voce un racconto, un inedito, pubblicato proprio in occasione della morte del nostro scrittore preferito. Non so se un esperimento simile fosse mai stato tentato: spegnere la radio, tacere tutti e sentire un racconto letto ad alta voce in macchina. Chissà. Però è stato bello. Significativo. Ci sono voluti circa 25 km per finirlo tutto, magari Federico, poveretto, s’è pure annoiato, visto che il nostro scrittore preferito non è anche il suo scrittore preferito, però credo che anche per lui sia stata una cosa nuova, con tutto quell’asfalto da srotolare; insomma, è stato piacevole ingannare l’attesa dell’arrivo facendo una cosa del genere. M’è venuto in mente che se ci avessero visti, e la qual cosa era molto probabile dal momento che un po’ di traffico c’era e il nostro abitacolo era perfettamente illuminato, uno avrebbe potuto anche pensare che fossimo matti. O terribilmente eccentrici. Oppure tutte e due le cose. Ho visto fare un sacco di roba strana alla gente al volante, ma mai leggere un libro: una volta una tizia si stava spazzolando i denti con uno di quegli spazzolini elettrici. L’ho vista con questi occhi. Non si sa mai cos’è che può venire in mente alle persone, mentre stanno guidando.

Va bene: c’è stato questo grande silenzio fino a che Alberto non ha finito di leggere il racconto. A un certo punto ho pensato che tutto sommato quello che gli stavamo facendo, al nostro scrittore preferito, era un funerale. Un bel funerale, credo, ammesso che si possa definire bella una celebrazione della morte. Però il nostro scrittore preferito era uno abbastanza fissato sia con la morte che con la celebrazione dell’estetica, perciò io credo ‒ ma, davvero, non ho elementi per dirlo con certezza ‒ che l’avrebbe gradita una cosa del genere, se gliel’avessero raccontata (o se l’avesse vista). Verso la metà del racconto, anzi credo che fosse un po’ più avanti, perché mi pareva, dalla lettura di Alberto, che il ritmo stesse cambiando, facendosi più veloce, una cosa questa che si avverte moltissimo ad alta voce, ho cominciato istintivamente a rallentare l’andatura e un paio di macchine ci hanno superato: stavamo arrivando troppo velocemente dove dovevamo andare e questo non si sposava bene col fatto che nessuno di noi, tranne Alberto, sapesse con esattezza quanto mancasse alla fine della storia. Poi Alberto ha sollevato la faccia dal libro e allora tutti abbiamo capito che quella che aveva appena letto era l’ultima parola del racconto: in genere uno lo sa quando un racconto che sta leggendo sta per finire, le pagine si assottigliano tra le mani e poi ne resta una sola. Invece da ascoltatori questo fatto non è possibile, a meno di spiare, quindi la fine davvero è giunta inaspettata, al punto che mi sono dovuto girare un attimo per appurare se il nostro amico si fosse solo interrotto oppure avesse davvero terminato. È stato quando Alberto ha preso e ha spento la lucetta dell’abitacolo che è stato chiaro a tutti che qualunque cosa avessimo fatto lì dentro era finita.

Poi ci sono stati tutti dei minuti in cui abbiamo parlato del racconto appena letto, di altri racconti, di libri, della morte per suicidio, dell’istanza estetica dell’impiccagione e di altre cose relative al nostro scrittore preferito, fino a che anche noi ci siamo stufati e l’argomento del giorno è diventata la fica.

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[tratto da "Il Paese bello" di Stefano Sgambati
Pubblicato qui con il permesso dell'editore - www.intermezzieditore.it]

2 commenti:

jeff ha detto...

Brutto post. Ovviamente sulla morte di Wallace, l'unica cosa di cui ormai si parla di quest'autore. Che miseria..

Anonimo ha detto...

Perfetto omaggio a "The Depressed Person". Ho gradito. :)