venerdì 28 ottobre 2011

Chiunque.

Chiunque usi un pennello per spalmare di uovo una torta rustica, chiunque lasci un avocado a maturare quattro o cinque giorni in una busta di cartone appesa a una sedia, chiunque se la prenda con dio per un risotto venuto troppo salato, chiunque sbatta per terra qualcosa davanti all'ennesima mancanza di gentilezza del prossimo, chiunque perda un minuto in più del normale a leggere il retro di una confezione di corn flakes al supermercato, chiunque mostri un'indecisione visibile davanti a due o più bottiglie di vino da aprire, chiunque stringa amicizia con un libraio, anziché limitarsi a trattarlo come un cassiere, chiunque manifesti una debolezza, senza temere di apparire frangibile, chiunque abbia ancora la forza di spalancare gli occhi di meraviglia davanti a un amico che arriva puntuale a un appuntamento nonostante la pioggia, chiunque dimostri di sapersi godere un'emozione senza per forza ricorrere a questo noioso cinismo, chiunque preferisca scendere al bar piuttosto che salire in cattedra, chiunque goda fisicamente per una carbonara perfettamente riuscita, chiunque esulti come Tardelli per un parcheggio trovato sotto l'ufficio, chiunque preferisca un Negroni perfetto a un Negroni "sbagliato", chiunque si senta felice per un invito a cena di martedì, chiunque sappia cantare a squarciagola anche una canzone degli 883, questi è amico mio e io desidero che sopravviva.

giovedì 27 ottobre 2011

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Come si accende, una motocicletta? Come ci si infila un casco senza ferirsi le orecchie? Lo ignoro. Non ho mai guardato un GP, nutro una perfetta antipatia per Valentino Rossi, esecro quelle tute acetate, non mi piacciono gli sport in cui gli esseri umani siano "appendici". Ma una cosa la so benissimo: so cosa significa vivere esclusivamente per la propria passione. A me già commuove questo, quando lo riscontro: già mi viene voglia di abbracciarmi da solo quando guardo o conosco qualcuno spingere al massimo sull'acceleratore per inseguire un unico, consolidato e definitissimo sogno. Do a questo la definizione di BELLO. Morire di questa roba io non so dire se sia affascinante, doloroso o giusto: ma vale l'emozione. Vale la commozione. Vale la partecipazione. Proprio come la vale un morto di maltempo. Che fa, se qualcuno è andato al funerale del suo campione sportivo preferito perfettamente vestito da motociclista, col casco e i guanti? Che fa se ha condotto fin lì anche suo figlio, conciato alla stessa maniera? Fino a due giorni prima tifavano per lui seduti in poltrona: al funerale di vostro figlio non vi vestireste come lui gradirebbe? Quando un amore vi si frantuma tra le mani, non andate a caccia nei cassetti delle cose e dei profumi che vi avevano reso felici? Non vi imbambolate davanti ai tavoli di ristorante che vi avevano ospitati in due, magari solo la settimana prima? È vero, in tanti muoiono giovani e nessuno ne parla, ma sono vere anche tante altre ingiustizie e almeno queste non fanno male a nessuno. Va bene così: crepare di un sogno sa di buono, come sa di buono morire spalando fango o rovistando tra le macerie. In questi ultimi giorni ho percepito sincero cordoglio, ma molto di più ho letto dell'indignazione di chi, non provando interesse per nessuna cosa, si è interessato improvvisamente a qualsiasi fatto che secondo la sua opinione doveva avere più riscontro della morte di Simoncelli. Se questa è l'alternativa, sentite, io preferisco quelli che si sono presi un giorno di permesso al lavoro per andare a salutare il loro campione più amato travestiti da lui: almeno stasera riempiranno la cena di chiacchiere e, tornando a casa, avranno voglia di guardare meglio il paesaggio. Funziona così, non è mai più complicato: siamo solo persone. Siamo tutti solo persone. Ciao ciao campione, io non so nemmeno perché ti chiamavano Sic.