venerdì 23 settembre 2011

Va ora in onda.

Benvenuti, benvenuti, benvenuti nell'home page del Padre Assassino! Guardate, guardate, guardate le incredibili foto degli occhi da pazzo: signor omicida, ci dica, ci dica, ci spieghi le ragioni del suo gesto. Niente affatto: dovete prima riferire col mio agente. Ecco, signora, lei che è la vicina di casa dell’omicida, ci racconti: se lo aspettava? Ma guardi un po’, era tanto una brava persona, le assicuro, pensi che usciva coi figli tutte le mattine e prima di portarli a scuola entravano lì nel forno a prendere i cornetti per la colazione. E dunque lei è il fornaio: che cosa può dirci del pazzo? Santo cielo, una carissima persona, pulita e posata, chi lo avrebbe mai detto che amasse i coltelli a tal punto?
Benvenuti a “Porta a Porta”, questa è la statua di cera che riproduce esattamente il corpo martoriato della vittima, e questa sera al “Maurizio Costanzo Show”, in esclusiva, i ballerini di “Amici” insceneranno il dramma delle madri assassine: a seguire un’inchiesta di Alba Parietti sui traumi psicopatologici post partum e da domani in libreria “La mia verità”, lo sconcertante esordio letterario di Mammamaria Franzoni.
Ecco lei, signore caro, sì proprio lei, perché si trova qui dalle cinque di questa mattina davanti al Tribunale? Faccio la fila per vedere il mostro con questi vivi occhi, mi pare ovvio! Per poterlo toccare! Per poterlo avvicinare! Sa che il mio povero bambino sta tanto male e allora noi crediamo, la mia signora ed io crediamo, che un autografo del mostro lo potrebbe rimettere in sesto almeno per un po’, ridargli il sorriso.
Din-don! Grandi novità nell’inchiesta dell’ultimo barbaro caso: ritrovati dei peli incriminanti! Al lupo al lupo: appartenevano al cane. Con tutti questi extracomunitari in giro, è normale che prima o poi ci scappi il morto, dice la brava gente. Recuperata, dopo quattro anni, l’arma del delitto: si trovava ancora conficcata nella carne dell’ucciso. Intanto i Ris di Parma si sono convinti: l’omicida è una donna, ha colpito con la mano sinistra e apparteneva agli ultras della Lazio. No, fermi tutti: passo indietro nelle indagini, il morto non è morto: è stato visto vivo a comprare “Il Manifesto”, vuoi vedere che il morto era comunista?
Ta-daaan! Nuovo ed agghiacciante video dell’adolescente impazzito: per soli tre euro e mezzo potete scaricarlo da Internet. Ritrovati finalmente nel pozzo i corpi mummificati dei bambini. Signora! Signora Permette una domanda? Come si sente ad essere una madre di tre meravigliosi bambini morti?
E adesso un bel primo piano: guardate come sono belle queste due teenagers assassine! Nel loro dna hanno, insieme alle prove scientifiche della colpevolezza, anche le credenziali per diventare le nuove, fotografatissime Veline! Guardate, guardate, guardate come sorridono alle telecamere mentre vengono portate nel carcere di massima sicurezza.
Edizione straordinaria! Edizione straordinaria! Nessuna novità sul delitto di Perugia! E proprio di questo parleremo nella puntata odierna di “Matrix”, cioè del NIENTE: massimi esperti in studio Valeria Marini, Riccardo Scamarcio, Rodolfo del “Grande Fratello” e il famoso psicologo della televisione, uno alla volta, per piacere, uno alla volta ché altrimenti a casa non capiscono niente!
Adesso l’arbitro fischierà il minuto di silenzio per ricordare la scomparsa dei piccoli innocenti orribilmente trucidati dallo zio, l’ozio è il padre dei vizi, per questo il tenente ammiraglio in pensione ha massacrato la famiglia con la pistola d’ordinanza: lui senza lavoro era disperato e depresso. Previsto per domani un sit-in dei lavoratori in cassa integrazione.
Buonasera dal Tg1: nuovissime ed inquietanti novità dalla scena del delitto del giorno. Sembra, in effetti, che ad uccidere non sia stata una sola mano, ma due: ciò non toglie che l’omicida possa essere ambidestro, permangono i dubbi, i dubbi, i dubbi. Ne parleremo nella prossima puntata!
E allora buonasera dall’informazione di La7, ospite in studio Giuliano Ferrara che ci dimostrerà scientificamente come questo imbarbarimento delle famiglie moderne, tanto votate alla violenza domestica, sia dovuto alla pillola del giorno dopo. L’assassino dice: sono innocente! L’assassina dice: sono innocente! Le prime pagine dei giornali titolano: gli assassini sono innocenti! I testimoni hanno preso un abbaglio, il Dna si sbaglia, le prove sono contraffatte, le testimonianze inverosimili: qualcuno mente, ma CHI? Televotate, televotate, televotate!
Sospetto assassino trovato in possesso di materiale pedopornografico. Ma prego, ci racconti la sua verità, in esclusiva, ai nostri microfoni. Volentieri, ma fanno 100mila euro, grazie. Lacrime comprese nel prezzo.
Signore e signori buonasera: apriamo con la crisi d’ascolti del Festival di Sanremo, a seguire le ultime sconcertanti novità sul caso della “cascina degli orrori”, ma ora le previsioni del tempo. A seguire, in esclusiva su MTV, il rap assassino che ha fatto impazzire il collegiale americano: ascoltatelo con un adulto vicino, ci raccomandiamo, e se doveste anche voi avvertire degli istinti assassini, vi preghiamo cortesemente di mettervi subito in contatto col nostro ufficio commerciale.
Un, due, tre, jingle, jingle, jingle: dalla mezzanotte di oggi collegatevi col sito e potrete guardare il mostro in carcere 24 ore su 24 via webcam.
Din don dan, ecco a voi un messaggio dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri: se proprio devi morire ammazzato, fallo, per piacere, lontano dalla campagna elettorale, oppure, in alternativa, se sei l’assassino, lascia evidenti tracce sul corpo della vittima così che noialtri, cioè il BENE, ti si possa rintracciare tempestivamente e affidare alle patrie galere per la gioia degli elettori.
Ultim’ora: altre cento morti bianche, caccia al responsabile. I sospetti cadono sul lavoro perché ieri sera a quest’ora non aveva un alibi. Din don dan, nuovo messaggio dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri: gentile lavoratore, gentile lavoratrice, caso mai dovesse capitarti di assistere alla tragica morte di un collega, per piacere, evita di andarlo a salvare, almeno così avremo un solo morto anziché due, il che farà comunque meno notizia. Din don dan, fine del messaggio. Massì, dirà il Cittadino Medio con un gomito fuori dal finestrino della sua Porsche, ma in fondo thyssenefrega.
E torniamo alla notizia principale della giornata: dramma della povertà in provincia di Paperopoli: Qui, Quo e Qua trovati morti là. Già fermato lo zio che si difende: non avevamo più il becco di un quattrino. Domani su “Oggi” tutte le novità in esclusiva, tra cui: lo zio assassino in una rara foto di quando aveva 14 anni, lo zio assassino fotografato col nuovo flirt e, per la prima volta, le immagini della casa dell’orrore: guardate le tracce di sangue sulle pareti e scovate le 14 piccole differenze, ricchi premi in palio, noi torniamo dopo la pubblicità.

Erano animati, animati dallo sconforto.

- Te la sei scopata almeno?
(getta via la sigaretta con una schicchera esperta. C'è una certa dose di consapevole esibizionismo, anche)
- Fiuuuu. Avresti dovuto vedere che femmina... Ero certo di distruggerla, invece mi ha distrutto lei...
- Non hai più il pelo di una volta, Tom.
(sorride, ma il sorriso dura poco. Pensosamente si liscia un baffo)
- Ti voglio dire solo una cosa, Jerry: mi ha legato al letto...
- ...
- ... Le ho miagolato le cose più sconce. Diceva che le piaceva così e a me andava bene. Insomma, se di mezzo c'è la micia non si rifiuta niente. O no?
- Puoi dirlo…
- ...
(evitano di guardarsi per un momento. C'è qualcosa nell'aria che non è stato ancora detto)
- E con quella storia, invece? Che pensi di fare?
- Guarda... Ho sentito l'avvocato. Dice che mi devo rivolgere al sindacato. Che ci dobbiamo rivolgere al sindacato...
- Al sindacato?
- Sì, al sindacato. Lo so cosa stai pensando: ma è tempo di agire, Jerry. Questi vogliono la nostra pelle, non abbiamo più la libertà d'azione di una volta. Un tempo eravamo le star, ci permettevano di tutto. Adesso hai visto? Gesù, i ragazzini stravedevano per noi... Ora che i bei tempi sono finiti, con tutto quel vomitevole wrestling e il 3-D e via dicendo, ecco che basta una cazzata per...
- E tu la chiami cazzata?
- Santo dio Jerry! Ho fumato una sigaretta, e allora? Non ti ci mettere anche tu, adesso... Ho solo fumato una sigaretta e adesso vogliono la mia testa. Neanche fossi Ghandi o un Reale d'Inghilterra…
(se ne accende un'altra. La camera è in penombra. Ci sono delle veneziane e una vecchia macchina da scrivere su un tavolo logoro che difetta di una "T". I posacenere sono dappertutto)
- Non è che mi ci metto, Tom. Ma le sai le regole dell'authority, no? Ci hanno fatta una testa tanta e tu ti metti a fumare sul set? Davanti alle telecamere! Coi giornalisti e i fotografi!
- Il mio Vietnam è la micia, c'è poco da fare…
(guarda l'amico in cerca della vecchia complicità. Non la trova)
- Sì, e noi perdiamo il lavoro perché tu dovevi per forza offrire da fumare a quella tizia…
(torna serio)
- A parte il fatto che non so se hai visto com'era vestita; comunque, non dire cazzate. Sono solo IO che rischio il lavoro: tu sei quello bravo e buono e reciterai questa parte per sempre...
- Tom, stronzate! (si alza dalla poltrona dove bivaccava. Rovescia una lattina di birra vuota) Lo sai benissimo che io da solo non valgo niente! Cosa pensi che mi faranno fare, DA SOLO? Pensi davvero che mi daranno lo show del sabato sera, come mi continua a dire quell'inetto del mio agente? Non mi daranno un cazzo. Noi siamo una COPPIA, capisci? Dean Martin e Jerry Lewis, Totò e Peppino De Filippo, Stanlio e Olio, Walther Matthau e Jack Lemmon: lo sai come funziona lo spettacolo, no? Io sono la spalla, cazzo. La spalla da sola a che cosa serve? Se sei finito tu, sono finito pure io...
- ...
- Senti, c'è solo una cosa sicura: se andiamo al sindacato siamo rovinati.
- Il fatto è che saremo rovinati lo stesso, amico mio... ci hanno censurato una puntata. Ti rendi conto che cosa significa? Nessuno vorrà più trasmettere la nostra roba: perfino meno di adesso…
- No, Tom, senti. Ti ricordi cosa successe al Gatto Silvestro? Quando morse davvero Titti sul di dietro e via dicendo? Quella puttana lo denunciò e lo fermarono per non so quanto. Lui, consigliato dall'avvocato, si rivolse al sindacato e…
- Lo so, lo so...
- Appunto! Ti sei fumato anche il cervello, per caso? Gliene successero di tutti i colori! La stampa si accanì in quel modo e da allora non ha mai più lavorato. Non mandano neanche le puntate in bianco e nero, niente. Kaput, finito, bye bye. Le major non ne vogliono più sapere: un cartone animato che si rivolge al sindacato è come un politico che pretende di non fare la fila al ristorante. Oppure un calciatore che sciopera! Non lo accettano, la gente è stupida e invidiosa e se sei un privilegiato e ti sei arricchito col tuo talento, allora non puoi avere diritti! Secondo loro dovremmo accettare gli inconvenienti sul lavoro e basta. (segue un momento di silenzio, poi Jerry riprende, con un tono di voce più basso rispetto a prima) Questo maledetto fatto che non possiamo morire è una condanna... Non ce lo riescono a perdonare. Nessuno di loro...
- E io che dovrei fare, allora? Noi, Jerry, che dovremmo fare?
(si dimentica di fumare. La sigaretta diventa un cilindro di cenere tra le sue dita)
- Io propongo di prostituirci...
- Cosa?!
- Di prostituirci. In questo senso: diamoci al sociale. Il mio agente mi ha già fatto delle proposte interessanti. Pubblicità anti-fumo, cose del genere. Mostriamoci pentiti e bla bla bla... Io che ti rimprovero, tu che mi prometti di non rifarlo e baggianate simili...
- Dio, che vomito...
- Lo so, ma è l'unica via lo capisci? Un po' di pubblicità progresso gratis e l'immagine sarà ricostruita. Ci inviteranno in qualche talk-show, tu farai una di quelle scenette da fumatore pentito e schiaccerai sotto la zampa qualche mozzicone. Facciamo un paio di numeri, mi dài qualche martellata, facciamo ridere i bambini e via: i contratti torneranno a fioccare. Vedrai, lo sai che me ne intendo di queste cose.
- ...
(alle pareti sono appese tantissime foto incorniciate. Tom & Jerry in smoking che ritirano premi dalle mani di personaggi rappresentativi, Tom & Jerry con un mazzo di microfoni sotto i baffi. Ci sono delle statuette con targhe commemorative su ogni ripiano, ma tutte sono impolveratissime e qualcuna, addirittura, è sistemata al contrario. Vicino alla porta d'ingresso c'è una grande foto di Mickey Mouse, con quella blusa rossa e i bottoncini gialli. C'è scritto: "A Tom & Jerry, pionieri". Su un ritaglio di giornale, ormai sbocconcellato, si legge, in grassetto: "Dodici minuti di applausi!")
- Tom?
- Ma non lo capisci, Jerry?
(adesso parla a occhi chiusi. Dappertutto c'è un odore di cose perdute e altre destinate a finire male)
- Che cosa?
- Ma quali contratti? Non lo capisci che la sigaretta è solo una scusa? Un capro espiatorio. Ci censurano qui, ci levano dalla programmazione là... Tutta una scusa. La verità è che non ci guarda più nessuno; non facciamo più ridere nessuno. Forse negli anni '60, adesso la tv è piena di violenza autentica; perché dovrebbero guardare la nostra posticcia? Siamo passati, amico mio.
- No, tu sei sempre stato troppo...
- Dài… Non facciamo che darcele di santa ragione da cinquant'anni, Jerry. Tu hai rimediato un'ernia del disco e io una denuncia per guida in stato di ebrezza dopo quella festa dai Rabbit. Chi eravamo prima del grande boom? Tu facevi la controfigura in un circo, io ho vinto un concorso per ex tossicodipendenti da reintegrare. Rendiamoci conto di chi eravamo, ringraziamo il cielo per quello che abbiamo avuto e smettiamola di fare i finti tonti. Non c'è più spazio per noi... A un certo punto bisogna sapersi tirare indietro...
- Il mio agente dice...
- Non me ne frega un cazzo di quello che dice il tuo agente, Jerry! Quello è un frocio con un'ossessione per i soldi e gli anelli kitch. Guardati intorno, stanno cadendo tutti: Titti, dopo la causa vinta con Silvestro, è fallita del tutto e adesso tiene quella stupida rubrica di cucina in televisione. L'hai visto Bugs Bunny com'è finito? A fare i clippini su Facebook!
- Con tutta la coca che si tirava non c'è mica da stupirsi...
- Va bene, ma io non mi voglio piegare! Ne sono tutti usciti male, perché hanno provato a recuperare, hanno provato a lottare, senza accettare l'eventualità più semplice e cioè che la gente si è semplicemente stufata. Quelli di Walt Disney, allora? Dài, non si scappa: sono alla frutta perfino loro che avevano dietro quel po' po' di struttura, effetti speciali, grande distribuzione e cinema! Siamo fottuti, sigaretta o non sigaretta.
(si alza, poi si accorge di non avere un solo posto dove andare al mondo e allora si risiede. Sono solo cartoni animati. Animati dallo sconforto)
- Ma di loro si sapeva che sarebbero finiti male, Tom... Con tutto quel buonismo del cazzo, non c'era scampo... Erano destinati a passare di moda... Oggi come oggi resistono solo i Simpsons. Quei bastardi hanno una fortuna del diavolo... Non avranno mai bisogno del sindacato: hanno più visibilità del Presidente della Repubblica. Noi, con qualche modifica narrativa o stilistica, potremmo farcela. In fondo ci picchiamo. L'hai detto tu stesso che la violenza va eccome di moda!
- Ma hanno reagito così per una sigaretta, figurati se ci permetterebbero di cambiare altro. Quello che sto cercando di dirti è che siamo passati di moda. C'è il computer, la gente va a vedere Cars, Shrek, oppure si rincoglionisce di donne nude e guerra. Trent'anni fa non avrebbero fatta una piega per due tirate. Ti ricordi come facevano? Signor Tom di qua, signor Jerry di là. Ci trattavano a cocktail di gamberi e portiere aperte. Guardati intorno, guarda tutte queste foto! (fa un ampio gesto con il braccio) Non mancavamo a una festa, altro che sorelle Hilton. E oggi? Passiamo le giornate nel tuo studio a guardare videocassette e a provare numeri ritriti. Ci rincoglioniamo di alcol e fumo e guarda, tu guarda questo ridicolo martello gigante di polistirolo! Non capisci che è PREISTORIA, maledizione!?
(scaglia il martello verso l'amico, in un impeto di deformazione professionale. Jerry lo scansa con un effetto sonoro gommoso)
- ...
- Io non li faccio gli spot progresso, Jerry. Non faccio un passo indietro: fumo quaranta sigarette al giorno, che spot dovrei fare? Le ho provate tutte, lo sai. Alla fine ero in una tale confusione che masticavo i cerotti alla nicotina; a cosa dovrebbe servirci non fumare, se non possiamo neanche beccarci un cancro? Me lo spieghi? Tu non hai i tuoi film porno con cui ti trastulli tutte le notti davanti a quel computer? Ognuno è quello che è: prima non contava un accidenti. Oggi ce le fanno pagare tutte, perché non gli rendiamo più i soldi di prima. Siamo solo cartoni, dio santo: non ci perdonano il fatto di avere un vita. Quelli vanno a vedere tutti entusiasti un panda che fa kung-fu! E pagano, anche: noi siamo gratis!
- E' che i bambini ci hanno presi a mo' di esempio e noi dovremmo...
- Ma quale esempio?! Siamo un cartone animato che si basa - di fatto - sulla violenza e l'umiliazione reciproca e dovremmo dare l'esempio? A chi? Il nostro pubblico è fatto per il 90% da marmocchi repressi lasciati in balìa della televisione da genitori assenti. Le hai lette le statistiche diffuse dall'Ordine Nazionale, no? Dovrebbero essere LORO ad essere censurati, mica noi. La verità è che non siamo più all'apice... E quando smonti dall'apice, Jerry, ci vuole un miracolo per risalirci... Ricordati sempre dei Jetsons, di come hanno finito per sperperare tutto in avvocati divorzisti... O di Will il Coyote, che è finito in analisi e ora non esce più di casa perché ha paura di qualsiasi rumore. Altro che privilegiati: la pensione di invalidità ci dovrebbero dare.
- Un miracolo dici...
- E il tuo agente li fa i miracoli? No, non li ha mai fatti. E io un agente non ce l'ho, da quando quello stronzo fece il doppio gioco con l'Orso Yogi e io ci persi un sacco di soldi. Basta con questi agenti, e se ricorrere al sindacato ci porterebbe solo danni come dici tu, allora tanto vale...
- Non potremmo fare come i Flinstones?
- Che hanno fatto quei trogloditi?
- Hanno aperto un locale, lì in America.
- Ma quelli sono una S.p.A., Jerry. E hanno sbancato anche al cinema, non ti ricordi? Con tutti quei dinosauri del cazzo. Sono un marchio vincente e la gente ci corre ancora dietro. Noi chi siamo? Un gatto opportunista e un piccolo topo d'appartamento. Ce l'abbiamo mai avuti i dinosauri forse?
- Ehi!
- Senza offesa...
- E allora che ne sarà di noi? Cazzo, Tom, abbiamo vinto SETTE Oscar, non può finire in questo modo. Non può essere semplicemente tutto qui…
- E invece è così. Il più delle volte una fine è una fine. Non c'è morale.
- …
- A meno che…
- Cosa?
- Lo sai…
- Merda, Tom. Tanto vale andare al sindacato!
- Il sindacato ci affosserebbe. Invece quell'altra cosa ci rilancerebbe…
- Ma nel modo sbagliato!
- Sei diventato un moralista improvvisamente? Non paghi le tasse da quarant'anni e ti scandalizzi per…
(il silenzio gelido viene rotto da una sirena della polizia che passa giù in strada. Tutti e due guardano verso la finestra)
- Tu pensi davvero che sia l'unica soluzione?
- Altrimenti la pensione, te l'ho detto.
- Non siamo così vecchi, vaffanculo!
- Senti, in fondo non sarebbe poi così diverso da una di quelle pubblicità progresso del cazzo che volevi fare tu.
- E in più non sarebbe gratis…
- Vedi che stai venendo a me?
- Dopo tutto l'ha fatto anche Braccio di Ferro e oggi la tv via cavo ritrasmette tutte le vecchie puntate e pare che gliene facciano fare di nuove…
- Tàc.
(Tutti e due si fermano a pensare, ma in realtà è solo Jerry che sta pensando. Dopo poco, infatti, Tom si alza e accende un'altra sigaretta. Ne aspira una grande boccata, poi la tiene tra le labbra sottili. Protende le zampe verso quello che potrebbe essere l'infinito e con gli indici e i pollici distende l'imitazione di una grande insegna luminosa. Gli occhi gli luccicano e con la voce canticchia una qualche sigla prodigiosa d'avanspettacolo)
- Sì, amico mio. Sì. Quello che ci vuole adesso
è un grande
grandissimo
R-E-A-L-I-T-Y-S-H-O-W.

Il Vietnam al posto di un'infanzia felice.

Mi piacerebbe parlare di un libro edito da Rizzoli e scritto da uno dei più famosi corrispondenti di guerra al mondo: si tratta di “Dispacci” di Michael Herr, forse il libro più intenso che abbia mai letto.

Dal lavoro di questo straordinario giornalista hanno tratto due filmetti di genere di poco conto, come “Apocalypse now” e “Full metal jacket”, ma questo è un dato utile per incrementare le vendite. Un altro dato utile ad incrementare qualcosa, cioè l’attenzione, è questo: lo scrittore britannico John le Carrè ha definito “Dispacci” il più bel libro sulla guerra dopo l’Iliade. Il terzo ce l’ho già messo io, definendolo probabilmente il libro più intenso che mi sia mai capitato di leggere. Potrebbe bastare questo per invitarvi all'acquisto e alla lettura e a farla finita qui, ma se disponete di qualche minuto di tempo ancora, vorrei provare a farvi fare un giro un po' più lungo.

"Dispacci", infatti, è uno di quei testi in grado di restituirvi alla vita diversi da come vi aveva trovato. La potenza letteraria è spaventosa e la componente giornalistica altrettanto. C’è anche un’introduzione di Roberto Saviano, molto inutile, perché quasi subito il Nostro comincia a parlare di se stesso, riferendoci di quanto gli sia stato necessario “Dispacci” nella sua “personale guerra” e bla bla bla: però una cosa interessante la dice, cioè che dopo di questo, Michael Herr non ha mai più scritto un solo libro, niente, neanche una riga. Certo, ha collaborato alla sceneggiatura dei due capolavori di Coppola e Kubrik, ma quanto a libri, zero. Ho controllato, ed è vero. Questa cosa mi ha colpito tantissimo: l’efficacia letteraria di “Dispacci” è talmente evidente, assoluta, completa, che è come se questo scrittore si fosse sentito appagato, esaurito, “finito” già dopo questa sua prima e unica opera. Non mi pare di aver mai letto niente di nessuno che non abbia mai più scritto, dopo. Forse è per questo che nel suo libro c’è così tanto: perché c’è tutto. Tutto quello che voleva e doveva dire. Il massimo grado di sincerità possibile.

Leggetelo, dicevo.
Non solo vi informerà sulla guerra delle guerre, la più lunga e tra le più sanguinose della nostra storia, la guerra persa dagli americani, la guerra che, per paradigma, riesce ad incorporare tutte le altre, in quanto sublimazione della totale inutilità della guerra stessa, intesa come processo di “pacificazione”; non solo farà questo, ma vi calerà in un territorio altrimenti inesplorabile e inconoscibile, com’è quello della morte, della pazzia e della vita umana. “Dispacci” parla soprattutto di questo: è il primo libro della mia vita da cui abbia tratto un’impressione netta di “testimonianza dell’aldilà”. Secondo me (ora si udiranno dei tuoni in lontananza) è una specie di “Divina Commedia” dantesca: del Sommo si diceva che avesse conosciuto Inferno, Purgatorio e Paradiso tramite una specie di viaggio dell’anima, una sorta di "mesmerizzazione", e che fosse tornato a noi per poterlo raccontare: una missione divina, superiore. La medesima sensazione l’ho percepita col libro di Herr: è come se questi avesse ricevuto la possibilità di visitare il territorio che è “oltre” tutti noi, quello della morte, della pazzia, dell’irragionevole cattiveria pura, e di potervi fare ritorno per testimoniarcelo, per dirci: ehi, è così che funziona laddove voi non potrete mai andare. Ci sono io per dirvelo e adesso infatti ve lo dico.

Tante volte, terminato un libro, ho avuto voglia di telefonare all’autore, di chiedergli qualcosa. Finito “Dispacci” ho avuto voglia di abbracciare Michael Herr, perché l’opera che ci ha lasciato in eredità è scritta con un inchiostro che nessuno di noi potrà adoperare, mai, indipendentemente dalla tecnica, dalla maestria. È lo stesso territorio dei Baudelaire e dei Dostoevskij, solo che lui anziché andarci con lo spirito, con la testa, ci è andato col corpo. Herr fa cose semplicissime e incredibili, come raccontarci, finalmente, una volta e per tutte, di che cosa sa questo benedetto napalm. Ci racconta per filo e per segno cosa si prova quando si sentono i proiettili colpire la fiancata dell’elicottero su cui si sta volando: «Riflesso al fuoco da terra: stringi le chiappe e sollevati di qualche centimetro dal sedile. Strizza bestiale, bastardo; usavi dei muscoli che non sapevi neanche di avere», ci racconta il colore della notte durante la guerra, ma soprattutto ci racconta dei volti e delle facce dei ragazzi impegnati nel conflitto più inutile e frustrante della nostra storia, ci parla della stanchezza, della pazzia, dei fantasmi. Ci svela com’è camminare fisicamente di fianco alla morte, continuamente, tutti i giorni.

Aveva una di quelle facce, ho visto quella faccia almeno mille volte in un centinaio di basi e di campi, tutta la gioventù succhiata via dagli occhi, il colore prosciugato dalla pelle, le labbra bianche e fredde, sapevi che non avrebbe aspettato che nessuna di quelle cose ritornasse [...] Queste erano le facce di giovani contro i quali parevano essersi rivoltate le loro intere vite, erano lontani neanche un metro ma ti guardavano da una distanza che sapevi non avresti mai cancellato veramente.

C’è un momento bellissimo, nel libro: Herr riesce a tornare per qualche giorno a Saigon (lui è un corrispondente: può andare e venire come gli pare), è uno dei suoi primi “ritorni” dal fronte e in una sola immagine che lo scrittore ci elargisce c’è tutto il cambiamento che la guerra è riuscita ad inoculargli. Semplicemente davanti a degli scarafaggi orribili che gli camminano a un passo dal cuscino e nel piatto della doccia, lui non fa una piega. Quello che fino a pochi mesi prima lo avrebbe terrorizzato, adesso non gli fa più né caldo né freddo. È un’immagine semplicissima, banale, anti-poetica, eppure fulminante: «Cosa potevano farmi?», riflette l'autore, nella sua camera finalmente lontano dagli spari e da tutto quel sangue.

C’è un altro passaggio memorabile del libro. Herr sta raccontando di quanto la guerra riesca ad annullare tutto il resto, a tirare via qualsiasi pensiero alternativo: ci sta descrivendo una serie di zombie, più che di soldati, ormai dediti al conflitto in tutto e per tutto, completamente nolenti, ma senza altra possibilità che andare avanti. La disperazione di tutto ciò, Herr la rivela spiegando che gli addetti al registro sepolture, spesso e volentieri, trovavano negli zaini dei marine morti lettere provenienti da casa che erano state consegnate giorni e giorni prima e che nemmeno erano state aperte.

C’è qualcosa di “sublime”, non so se lo percepite anche voi. Io non ho mai attraversato territori simili, leggendo. Ci sono altre due cose che fa Herr, e poi non dirò più niente, perché altro non serve: riferisce della stupidità e del fascino della guerra. Riesce a fare queste due cose tanto diverse nello stesso momento e con la stessa efficacia, risultando due volte credibile. Usa tutta una schiera di personaggi meravigliosi e tragici, che mi sono rimasti a tal punto dentro, che terminata la lettura ho dovuto perdere un’ora su Internet per cercarne i volti, adoperando Google e Youtube: mi è sembrato di impazzire quando mi sono reso conto di avere avuto a che fare, per tutta la durata di quelle 290 pagine, con persone reali, che sono esistite veramente, la maggior parte delle quali è ancora viva, soprattutto reporter, fotografi, ma anche soldati semplici, berretti verdi e generali. Qualcuno degli scatti fotografici di cui parla Herr nel libro li ho ritrovati su Internet e, non lo so, non riesco bene a spiegarlo, ma è stato come fermarsi in macchina, in prossimità delle strisce pedonali, e vedere attraversare il capitano Achab. Come stendere l’asciugamano in spiaggia e vedere a riva Santiago col suo gigantesco marlin tenuto ancor all'amo sulla spalla. Dici no, non può essere vero: non può essere successo tutto sul serio.

La stupidità della guerra.
È un tema carissimo a “Dispacci”. C’è un passaggio che fa addirittura sorridere (ce ne sono molti che fanno proprio ridere) in cui Herr racconta di questo colonnello «il quale era convinto che ogni uomo sotto il suo comando avesse bisogno di fare l’esperienza del combattimento, così ordinò a tutti i cuochi e i furieri e i soldati della sussistenza di prendere gli M-16 e uscire in perlustrazione notturna, e una volta tutti i suoi cuochi furono sterminati in un’imboscata».
Sembra un anticlimax di Woody Allen e invece è successo veramente mentre i nostri genitori si mettevano i pantaloni a zampa d’elefante per andare all’Università.

Il fascino della guerra.
Sentite come ne parla Herr, che racconta l’esperienza di uno dei suoi amici più cari, laggiù in Vietnam, Tim Page, anche lui reporter di guerra, il quale un bel giorno, ormai tutti ritornati alle loro vite borghesi, riceve la proposta da un editore inglese di scrivere un libro intitolato “Basta con la guerra”, il cui scopo sarebbe stato di “togliere fascino alle guerra:

Page non riusciva a mandarla giù. «Togliere fascino alla guerra! Ti rendi conto, porca miseria, e come diavolo si fa, eh? Va' un po’ a togliere fascino a uno Huey, va’ a togliere fascino a uno Sheridan... Tu sei capace di togliere fascino a un Cobra? A un buono spinello a China Beach? È come togliere fascino a un M-79, togliere fascino a Flynn». Indicò una foto fatta da lui, Flynn che rideva con un’espressione da pazzo, di trionfo («Stiamo vincendo», diceva). «Non c’è niente che non va in quel ragazzo, non è vero? Permetteresti a tua figlia di sposare quell’uomo? Ooooh, la guerra ti fa bene, a questo non puoi togliere fascino. È come cercare di togliere fascino ai Rolling Stones». Non riusciva veramente a trovare le parole e agitava le mani in su e in giù per sottolineare l’assoluta follia della cosa.
«Cioè, tu lo sai, non si può fare proprio!». Entrambi ci stringemmo nelle spalle e scoppiammo a ridere, poi per un istante Page apparve molto pensoso. «Solo l’idea è delirante», disse. «Ooooh, che ridere! Togliere il maledetto fascino alla maledetta guerra.»

Leggete “Dispacci” di Michael Herr.
Vi appassionerete non alla guerra, ma al suo esatto opposto, qualunque esso sia.
Forse perché, per dirla con le sue stesse parole, «dopo tutto le storie di guerra non sono altro che storie di persone».



Il contrario della normalità.

Parlare dell’amicizia è portarsi dietro un carico di retorica inevitabile. Parlare dell’amicizia è uno di quegli esercizi sempre identici che si facevano a scuola, durante l’ora di educazione fisica: bene che andava si giocava a una specie di pallavolo che dopo venticinque minuti diventava una specie di calcetto, tra gli strepiti di protesta delle ragazze, sennò si ripassava la materia dell’ora successiva. Nessuno di noi è mai riuscito a farla più complicata di così. Un tizio, un filosofo americano, una volta ha scritto che l’amicizia è il tacito accordo tra due nemici di voler collaborare per un bottino comune. In tal senso, è stata un’estate che non è rimasta a guardare, questa, il che, al di là del potere suadente delle allitterazioni, le quali ancora hanno il potere di farmi sorridere come il ricordo di una serata riuscita, è un gigantesco guadagno rispetto agli ultimi tre anni trascorsi. Udite, udite: ‘sta volta sono stato bene.

Se non mi sbaglio (ero vagamente ubriaco di vino prodotto in casa, un vino rosso poderoso), davanti a me si stagliavano, eterni, incorruttibili, fermi come il Colosseo, i miei due amici più Antichi. Che c’è di nuovo in questo? Niente. Gli amici non fanno altro che stare insieme e stare bene, ciascuno a modo proprio, e io sono malato di moltissime cose ma non di solipsismo, e dunque so che quello che sembra unico e incredibile a me, è unico ed incredibile, all'incirca, per il 99% di tutte quante le altre persone. Va bene, ecco cosa stava succedendo, né più né meno: i miei due amici più Antichi stavano di fronte a me, a cena, nell’ambito di una vacanza che non ci riuscivamo a concedere, insieme, da sette anni, e mentre li guardavo parlare mi sono messo a pensare proprio a questo, cioè che quella cosa lì era di una scontatezza sconcertante e, dunque, confortevolissima. Mi sono seduto su un divano, che era rosso, e li ho guardati per un momento, prima di volgere gli occhi altrove, dicendo a me stesso che anche noi, in quanto esseri viventi, stavamo contribuendo a quel miracolo quotidiano che è la normalità. Ecco qua i due miei amici più Antichi che parlano tra di loro, senza nemmeno una sovrastruttura che li modifichi da quello che sono veramente. Non ho la pretesa di pensare che i miei amici, sebbene i più Antichi, siano davanti ai miei occhi quello che sono quando si ritrovano nel letto da soli, nel cuore della notte, un istante prima di addormentarsi: certi gradi di sincerità non sono fatti per essere condivisi e chi lo fa è un cretino o un falsario. Eppure, secondo me, nel caso di cui sto rendendo conto, ci sono andati vicini. Parlavano, tutto qui, e a me, da lontano - “lontano” si fa per dire, visto che stavo su un divano a due metri di distanza, epppure lontanissimo lo stesso, perché momentaneamente ero uscito dalla conversazione (ogni tanto mi piace farlo) - a me, da quella posizione, quasi quasi è scappato un colpo di tosse, cazzarola, uno di quelli che usi per coprire il rumore della deglutizione, al cinema, quando non vuoi dare a vedere al vicino di posto che quella scena commovente ha colpito anche te: la banalità del tutto accresceva il senso di meraviglia, anziché sotterrarla. L’amicizia, il potere dell’amicizia, sebbene retorico, è un’attività opposta all’archeologia. Non servono grandi scheletri millenari per gridare al miracolo, questo voglio dire: serve tutto il contrario.

Parlavano, non ricordo di cosa, ma parlavano, e a me questo, espressamente questo, è parso un miracolo, dopo il grembiule azzurro delle elementari e Dante e Paolo e Francesca e il sussidiario e le prime ricreazioni e tutto quel conoscersi tra i banchi e lavagne e gessi e guerre di cancellini e dispetti e litigi e penne Staedler e i compiti in classe e il greco e il latino e Camillo Benso Conte di Cavour e loro due che andavano benissimo e io una merda e le ragazze e la pubertà e la patente e il primo Long Island e la maturità e la seconda guerra mondiale e la rivoluzione francese e le lambda e il pi greco e le lauree e l’America e i distacchi e gli aerei che sono partiti e le macchine che se ne sono andate e i ritorni e i disastri e le morti e gli abbandoni e le lacrime e i perché e gli addii e i fallimenti e le strade sbagliate e gli errori e le incomprensioni e i concerti e gli scudetti e le coppe dei campioni e i pompini e le tette di quella e gli stipendi e i giri offerti e i finestrini e le arie condizionate e i giornali e le crisi economiche e gli Ibrahimovic e i Mondiali e le droghe e quelli che non ce l’hanno fatta, compreso Roberto Baggio, e dopo tutte queste cose, che la metà poteva anche bastare a fare di noi degli sconosciuti, dopo tutte queste cose come puoi adoperare un termine diverso da “miracolo”?

Non fa niente se altri dieci milioni l’hanno compiuto uguale: in quel preciso Momento sei unico, stai moltiplicando i pani e i pesci, anzi meglio, e i tuoi due amici più Antichi ce li hai solo tu e quella è una scacchiera, davvero dico, quell’istante è il movimento pensatissimo sopra una scacchiera, frutto e conseguenza di tutti gli altri movimenti fatti fino a lì. Tutte le parole dette, quelle non dette, ogni cosa ha contribuito a produrre quel Momento Perfetto, cioè i miei amici più Antichi in vacanza con me a parlare fra di loro: Dante è morto, Leopardi è morto, e noi no. È vero, lo facciamo tutti, ogni giorno, nessuno è speciale, ma allora perché non ne parliamo? Gesù, si passa il tempo a discutere della piaga dell’abbandono di questi cazzo di inutili cani di merda e mai nessuno che abbia la voglia o il tempo di raccontare perché e per come la coincidenza di due amici Antichi che parlano tra di loro sia bellissima.

Abbiate il coraggio di esaltare la meraviglia della normalità.
A fare il contrario sono tutti bravi.

Infedelmente vostro.

Io adesso parto. E penso, prima che tutto succeda, alle belle cose a cui andrò incontro, perché prima che succedano - non me lo invento certo io - le cose sono piene di lucine intermittenti che poi si spengono, necessariamente, se non altro perché a un certo punto, be' succedono. È solo una piccola vacanza, ma mi mancherà la mia poltrona Ikea, il mio Mac portatile sporco di cioccolato, il Cappuccino disgustoso in polvere che mi bevo con soddisfazione la mattina davanti al balcone della cucina, mi mancherà il litorale laziale, pure se sto per andare in uno molto più bello, mi mancheranno le stronzate con gli amici, e non fa niente che dove sto andando ne incontrerò di meravigliosi altri: le stronzate che con gli amici uno fa nella propria città hanno una luminosità diversa, sono "sovraesposte", come quei piattini di tramezzini che ti mettono davanti al bar, improvvisamente, proprio un attimo dopo che ti sei accorto di aver fame: sono solo tramezzini stantii ma, oddio, quanto sanno di buono, soprattutto alle sette di sera. Può succedere: sono gradi diversi di una stessa bellezza. "Nothingman" dei Pearl Jam io non me la riesco più ad ascoltare senza la voce di Hank Moody sotto che recita la lettera a Karen: è la stessa identica canzone, certo, ma in quella puntata di "Californication", non lo so, mi sembra tutta un'altra cosa. Una vacanza è sempre una vacanza, come una pipa è una pipa: ci saranno sorrisi e persone incredibili che io non ho fatto nulla per meritarmi, a parte aver tagliato per primo il traguardo in quella corsa lì, quella che tutti facciamo all'inizio di ogni cosa, nell'utero materno, ed essermi così ritrovato vivo. Prima di una partenza - è il modo in cui sono fatto - io penso sempre al ritorno, perché tornare è tutto: se io non intravedo la fine, non mi godo il viaggio. Forse è l'insicurezza dell'esistere, non lo so. Vado, per davvero, non mi capitava da tre estati di farmi una vacanza e pure questa è una specie di pagina che si fa voltare: mi mancherà perfino il traffico di Corso Francia, i lavori perpetui di Via Pinciana, mi mancherà infilarmi senza preavviso nella libreria Pallotta, a Ponte Milvio, e trovarci dentro Carmelo che mi offre una birra, mi mancherà la luce arancione, che c'è solo a Roma, solo a Roma c'è di un arancione così, che filtra tra i rami di Villa Borghese. C'è una Panchina Perfetta, a Villa Borghese, non so se lo sapete, in cui ci si può sedere con la Persona Perfetta per ritagliarsi un rettangolo di esistenza della grandezza di un centrotavola: c'è una Panchina Perfetta, illuminata da questo sole grandioso, che si può trovare soltanto in un modo: indicandola col dito e poi andandoci. Preferendola ad altre. Come quasi tutte le cose di questa vita. Non è mai più complicato di così.

Infedelmente vostro,
Stefano Sgambati

[pubblicato il 3 agosto 2011]

Fare parte.

Siccome è estate, allora tutti dicono che piove. Perché quando piove di inverno, nessuno lo dice. La pioggia estiva ti sorprende, non c'è niente da fare: è una puttana consumata che chiude le gambe. Siccome è estate e piove, allora tutti lo dicono. Altrimenti nessuno lo racconterebbe. Va bene così, secondo me: questo fatto che siamo tutti esseri umani, a me mi piace. Mi fa sentire bene, al sicuro, al caldo. Non è mica roba da niente in questo mondo qui, sentirsi al sicuro. Non ho niente contro gli altri esseri umani: avverto intorno a me questa grandiosa moda di sparare a zero su tutti, perché nessuno è come noi, nessuno è alla nostra altezza, secondo il nostro medesimo parere, e perciò bum, bam, vaffanculo, morite tutti. Ma che ci stiamo a fare, allora, qua sopra? Su questo sasso che è il mondo? Se continuamente ci sembra di essere gli unici umani viventi possibili, allora che ci stiamo a fare? Ecco quello che sto facendo, mentre la pioggia cade: scrivo, ascolto l'ultimo album di Pat Metheny e bevo un Gewurztraminer di un'ottima cantina. Tutta roba umana, non so se mi spiego. Va bene, di sicuro su Plutone hanno costruito astronavi che se dici un comando preciso al computer di bordo ti ritrovi proiettato improvvisamente a Las Vegas e sei James Dean. Non ho dubbi: su Venere c'è un pulsante rosso, gigantesco, dieci metri per tre, che servono trenta venusiani per premerlo, capace di farti percorrere centomila chilometri in un secondo, se solo lo sfiori. Non ci credete? Andateci. A proposito di Marte: pare che laggiù abbiano inventato dei pigiami che basta indossarli per cadere addormentati all'istante. Santo cielo, pagherei oro per possederne uno! Mercurio: vendono penne incredibili che tu le impugni e cominci a scrivere quello che devi scrivere partendo dalla fine. Giuro, sono utili. Gira voce che su Giove vi siano donne incomprabili che sanno praticare un sesso incredibile, assurdo, talmente perfetto che al posto dell'orgasmo estinguono mutui. Per non parlare di Urano: laggiù esiste un santone ricercatissimo perché con la sola imposizione delle mani è capace di trasformare le allergie in contratti a tempo indeterminato. C'è uno spazio immenso, un altrove e un quando impossibili da definire per quanto sono vasti, solo che io adesso sono qui, e anche voi, e quello che abbiamo è questo, non c'è altro, almeno per il momento: c'è un grande acquazzone, proprio adesso, e Pat Metheny si è trasformato in Ben Harper e il Gewurztraminer si è abbassato di cinque dita e voialtri, sui vostri social network, avete ancora una volta parlato della pioggia e del freddo che non dovrebbe fare, perché è estate, e vi state lamentando perché stasera non siete potuti andare in discoteca e perché oggi pomeriggio avete dovuto rinunciare al mare. Dopo tutto è quasi agosto. Forse potreste annoiarmi, soprattutto se penso che su Nettuno hanno costruito un marchingegno pazzesco che se clicchi su "on" ti svuota la testa di cattivi pensieri come si fa con la cache di Internet, ma invece non mi annoiate manco per niente. Trovo, anzi, incredibile, rivoluzionario, nuovo, rendermi conto che faccio parte di un agglomerato di individui capaci ancora, ogni tanto, di provare sentimenti banalissimi davanti a una pioggia fuori contesto. Che sarà mai? Siamo rimasti quasi tutti a casa, aspettando il sereno, ci siamo messi ad ascoltare le nostre canzoni preferite e a bere le bottiglie migliori. Ci siamo riuniti a cena a casa di amici e abbiamo cucinato prestando una cura maggiore rispetto alla settimana scorsa. Non abbiamo fatto altro, per una sera, che aspettare domani. Non sarà come azionare una leva e ritrovarsi capaci di trasformare le salite in discese, ma è quanto abbiamo. Mi piace, dopotutto, far parte di voi, questo volevo dire.

[pubblicato il 28 luglio 2011]