martedì 19 luglio 2011

Asterisco.

Ti rivedrò in un altro futuro e un altro tempo, quando le macchine correranno a tre centimetri da terra e il traffico sarà una parola antica sulle labbra dei più vecchi: qui una volta era tutta lamiera, si diranno, e i più giovani stenteranno a credere, abituati come saranno a questi nuovi grandi spazi aperti. Sarai bionda ancora e ancora amerai ostentare quei sorrisi trattenuti, come dentifricio spremuto con fatica indicibile da un tubo piatto come ostia.
Ti rivedrò al "solito posto" e commenteremo qualcosa a proposito dei vecchi tempi. Le mode degli altri ci faranno sparlare e ogni tanto diremo quelle cose tipiche che cominciano con "ti ricordi quando?". Un sacco di attori famosi oggi saranno morti in quel futuro.
Avremo modo di camminare e io rallenterò il passo perché ti vorrò guardare da dietro: riscoprirò quella falcata decisa che mi aveva fatto innamorare e ti raggiungerò con due salti goffi per prenderti sottobraccio e dirti: "Ehi, non sei cambiata".
Sarà a quel punto che ti fermerai con un'aria da rimprovero: "Non hai smesso mai di corteggiarmi...", dirai e io ti dirò di sì, ammetterò le mie colpe, perché finalmente ne avrò il coraggio, mi sentirò sereno, non avrò paura di ustionarmi o scorticarmi.
"Sì", ti dirò, "Corteggiarti è la cosa che mi ha fatto più sentire bene quando un nonnulla mi faceva stare male".
"Eccolo qua", dirai tu, perché, davvero, non sarai cambiata, "Eccolo qua che esce fuori lo scrittore...".
Riprenderemo a camminare, sarà una serata di primavera e finalmente la temperatura rasenterà la perfezione: "Io non sono uno scrittore", ti risponderò e tu mi farai quella faccia lì e io mi ricorderò improvvisamente di quando bevemmo grappa nella tua macchina, passandoci la bottiglia.
"Ma quando? Non è vero!", mi dirai, rincoglionita che non sarai altro, e allora dovrò insistere, tracciarti il ricordo nel cervello come uno di quei disegni che si fanno sulla sabbia con un ramo secco: ti sbatterai una mano sulla fronte quando saremo già seduti e ti ricorderai improvvisamente.
I camerieri ci daranno del "lei" e questo sarà un altro argomento di conversazione.
"Una volta qui bevemmo una bottiglia intera e poi tu avesti l'ardire di ordinare altre due grappe".
Non negherai, ma guarderai il tavolo e dirai: "Abbassa la voce!". Sarà allora che ti riconoscerò definitivamente e abbasserò le difese, non la voce, ritrovandoti del tutto.
"La solita alcolizzata...", ti farò, dandoti un colpetto sulla mano: a questo punto risucchierai tutta l'aria disponibile, per indignazione, e sbotterai in qualche altro dei tuoi modi canonici da bionda. Non riconosceremo i menu, perché il tempo è questo che fa alle cose: le trascina avanti fermandoci al chiodo. Rimanderemo indietro il cameriere un paio di volte, sotto i colpi della nostra indecisione, ma alla fine ci sarà un'ordinazione, in barba alla mia colite nervosa e alla tua cellulite (ebbene sì, colpirà anche te): un'altra bottiglia come si deve e buonanotte. Ci sarà un cestello con il ghiaccio al nostro tavolo, solo che le tecnologie saranno cambiate e il ghiaccio sarà artificiale e il freddo un'illusione. Le etichette sulle bottiglie saranno al neon e in giro, per quella piazza, sarà tutto in andirivieni artificiale tipo capodanno in riva al mare. Altre due cose che non avremo mai fatto in tempo a fare: capodanno e rive di mare. Troverò ancora modo di essere geloso, accarezzandomi il pizzetto bianco, e ti guarderò per quel secondo in più del necessario, ben sapendo che tutte quelle briciole che facevamo al tempo, adesso si sono già depositate.


"Hai figli?", mi domanderai, esattamente come allora mi chiedevi con chi andassi a letto e quanto spesso. Cercherò qualcosa nell'aria che possa suggerirmi la risposta adatta ma intorno troverò solo l'eco del tuo smalto: di certi vezzi non avrai perduto il meccanismo e io te lo farò notare.
"Uno solo...", risponderò e allora tu farai scendere lo sguardo sul bicchiere e io, improvvisamente, avrò voglia di regredire di quella ventina d'anni e di ritrovarmi lì, in quello stesso posto, insieme a te, a rassicurarti e dirti che quella marea di problemi si sarebbe ritirata, che tutti i figli possibili li avremmo fatti insieme e tutte quelle altre cose che si dicono quando è passata mezzanotte.
"Si chiama Lorenzo", ti rivelerò invece, assecondando il tuo silenzio, tra un sorso e l'altro. Tu mi guarderai imperterrita e i tuoi occhi azzurri saranno gli stessi di allora, solo pieni di un miliardo e centomila cose che non avrai vissuto insieme a me.
"E' un bel nome, mi dirai", ma io sentirò un certo qual livore.
"E tu?", ti domanderò, concependo in un sol momento che la vecchiaia conduce anche una buona dose di coraggio: transiterà quel secondo o due prima della tua risposta e io mi darò il tempo di pentirmi di aver proferito verbo.
"Sì, una bimba".
Una bimba, penserò col naso dentro al bicchiere, avendo al contempo la voglia di ridere e piangere e graffiarmi le guance e rovesciare la testa all'indietro e cominciare ad urlare.
"Come l'avete chiamata?".
"Sofia", risponderai tu, con un filo di voce, toccando il cellulare, un cellulare pazzesco, tutto viola, di nuova generazione, che oltre a telefonare, sarà in grado di mandare impulsi radar potentissimi capaci di far addormentare all'istante le persone e di redimere i malintenzionati. Sofia mi piace, penserò, invecchiando un altro po' da solo, senza che nessuno potrà accorgersene.
"Almeno per i nomi non avremmo litigato...", ti suggerirò e allora alzeremo i bicchieri contemporaneamente e ci verrà spontaneo dire: "Brindiamo ai nostri figli", con la stessa voce e gli stessi sorrisi con cui, tanti anni addietro, avevamo brindato prima a noi, poi al futuro, infine al passato, non senza una certa dose di ironia.
Scoprirò di non essere cambiato e ti domanderò: "L'hai fatta con lui?".
Mi guarderai: "Lui chi?".
"Dai, lo sai...", sussurrerò e, dopo una vita intera, tornerò a sentire le labbra secche della gelosia.
"Che c'è?", mi chiederai, inclinando la testa di lato: le tue, di labbra, amore mio, non saranno cambiate di una virgola.
"Niente", ti risponderò increspando la solita bugia. Aspetterò dei secondi necessari, poi ti incalzerò: "Allora? Dài, puoi dirmelo adesso!", così proferirò, infilandoci un punto esclamativo, alla fine della frase, tanto per farti sentire meglio. Farti sentire bene è sempre stato in cima ai miei pensieri: con altri vent'anni sulle spalle, avrò finalmente chiaro che tutto quel volerti fare stare bene aveva anche un altro nome, che è egoismo.
"Non è lui...", mi rivelerai in definitiva e io non saprò come chiamare quella sensazione strana, se euforia, o delusione oppure incipiente infarto.
"E lei chi è?", mi farai tu, seguendo il solito copione.
"Non la conosci...", ti dirò, prendendo tempo, altro tempo, e quasi mi verrà l'ansia, il panico, perché già ne sarà passato troppo, di tempo, e allora ripenserò a quel film bellissimo con Gassman e Manfredi, due attori italiani dei tempi nostri, anzi di quelli ancora prima, e di cui nessuno più si ricorderà, il giorno in cui ti rivedrò. Mi tornerà in mente una delle scene più significative, in cui i due amici si ritrovano per caso dopo trent'anni e, prima di salutarsi di nuovo, si dànno appuntamento per rivedersi presto. Allora Gasmann dice sì sì, come no, cerchiamo di non perderci di vista un’altra volta, ma mentre l'altro amico, cioè Manfredi, si allontana, Gasmann lo guarda attentamente, con tanto d'occhi e dice sotto voce quello che pensa veramente: magari ci rivedremo tra altri trent'anni, il che significa che non ci rivedremo più.
Così dice Gassman, realista, all'amico Manfredi, più sognatore, e così penserò io, mentre perderò altro tempo, invece di dirti le cose come stanno.
Sarà una bellissima serata, in quel modo che abbiamo sempre avuto noi di rendere meravigliose certe serate impossibili. Mi verranno in mente tutti gli uomini con cui avrai fatto l'amore nel frattempo, penserò, una ad una, a tutte le persone che ti avranno fatta sorridere fino a quel momento, mi sentirò male riflettendo sui vestiti che non ti avrò visto addosso. Ti chiamerò per nome e prima di poter continuare la frase, mi dirai: "Hai sempre detto benissimo il mio nome..." e allora mi ricorderò del tuo odio per i diminutivi e per i vezzeggiativi e mi ricorderò anche della prima volta in assoluto in cui capii che sarebbe stata dura con te, quando in quel bar, in piedi, io provai a darti un bacio e tu ti ritirasti, dicendomi: "Non ho più sedici anni...". No, non ce li avevi allora e non ce li avrai nemmeno quando ti rivedrò in quel futuro. Eppure sarà diverso, non sapremo dire come e quando, ma ci verrà più spontaneo camminare mano nella mano.
"E ora stai meglio?", ti domanderò e quella sarà la domanda delle domande e non lo so se ascolterò la tua risposta, perché a quel punto gireremo l'angolo e ci troveremo nella strada dove ci siamo sempre baciati, solo che stavolta ci sentiremo in imbarazzo perché non sarà più l'età e perché io saprò che a casa avrai un'altra piccola te che dorme senza conoscere ancora niente della vita.
"Io no...", ti anticiperò e tu non capirai subito, nemmeno io capirò esattamente, perché sarà qualcosa di sottile che non saprò significare. Io non starò meglio perché, in un certo senso, gravemente peserà su di me la sensazione d'aver tradito quel trentenne che s'accapigliava e che t'amava e che usava tonnellate di parole per girare intorno a un argomento che invece era così semplice, così semplice.
Ti guarderò mentre una macchina silenziosissima ci fluttuerà accanto sui suoi cuscinetti magnetici e dei giganteschi tentacoli usciranno, ammaestratissimi, dai tombini per ripulire le strade, ti guarderò, perché guardarti è stata la cosa che ho sempre più adorato fare e non troverò il coraggio di chiederti di legarti i capelli per farmi vedere se anche quel talento naturale è rimasto identico. La tua femminilità sarà ancora esattamente al suo posto e io mi maledirò per non essere stato all'altezza di tenermela accanto.
Tornerò a casa, un'altra volta da solo, come sempre, e aprirò lentamente la porta, girando con accortezza estrema la chiave nella toppa, così come facevo tanti anni prima, quando non volevo svegliare i miei genitori. Girerò per casa vuota alla ricerca di qualcosa da bere, ma anche i mobili bar, scoprirò, non saranno più quelli di una volta.
"Si chiama Lorenzo", ti dirò quel giorno, assecondando la tua sete di sapere e sperando, come sempre, di farti ingelosire, riuscendo solo nel consueto intento di inondarti e inondarci dell'ennesima bugia.

1 commento:

Anonimo ha detto...

da leggere senza respirare, come sempre. scritto con la semplicità giusta che serve a farti scivolare frase dopo frase fino alla fine e sentire che ne vorresti di più. Come per la grappa, quella buona. giona