martedì 3 aprile 2012

Spleen-der.

Ci dicevano che eravamo dei perdigiorno, dei falliti, dei nullafacenti, poi lo hanno fatto tutti, poi sonoarrivati tutti. Ci dicevano che non stava bene, che non serviva a niente, che era tempo perso: ci dicevano che meglio avremmo fatto a trovarci un lavoro, ma adesso quanti sono quelli che il lavoro lo hanno trovato proprio così? Ci dicevano che non significava un cazzo, che non avrebbe funzionato, che non ci avrebbe portato da nessuna parte. Eravamo tizi che mai avevano pensato di avere qualcosa da dire di interessante e, effettivamente, la maggior parte non ce l’aveva: erano loro quelli che passavano in quattro e quattr’otto dall’altra parte del fronte, andando a rinfoltire la schiera di quelli che scuotevano la testa e dicevano quello che dicevano.

Per esempio che eravamo arroganti, sbruffoni, pieni di ego. Ci dicevano che eravamo un cattivo esempio, ci davano dei “comunisti”, ci davano dei “fascisti”, mentre noi ci davamo di gomito, oppure lo alzavamo troppo e quell’eccesso riverberava l’indomani nella data dell’ultimo post, rimasta al giorno prima. In fondo eravamo giovani, eravamo “blogger”, una parola rotonda che non voleva mai stare ferma: ce la prendevamo col piano su cui poggiava, dicevamo che era in discesa oppure in salita, invece la colpa era proprio di quella parola, “blogger” che, come tutti i significati malleabilissimi in via di definizione, si adattava alle mani di chi la adoperava per primo con effetti lisergici. Eravamo “blogger”, un termine che faceva sorridere i retrogradi: eravamo orecchie e occhi, ci piaceva guardare più attentamente tutte le cose, perché poi ne volevamo, ne dovevamo scrivere. Abbiamo acuminato lo sguardo, ci siamo rinvigoriti i sensi: ecco cos’è stato il motivo di tutto quello scrivere e scrivere e scrivere. Siamo cresciuti così, provando a porre problemi, anziché risolverli, l’unico modo che io ho sempre trovato degno di affrontare intellettualmente questa vita. Ci hanno citato i Wu Ming, ci ha citato Saviano: alcuni di noi sono finiti in televisione e oggi collaborano con la Dandini, altri sono morti e quell’ultimo post è rimasto sempre uguale. Ci dicevano che non saremmo mai andati da nessuna parte e in effetti avevano ragione, ma almeno così abbiamo risparmiato le scarpe e conservato il fiato. I telegiornali parlavano di noi, con quei puntuali mesi di ritardo con cui i “media tradizionali” (una locuzione, oggi abusata, che germogliò proprio in quegli anni, quando noi, noi noi, offrimmo finalmente un’alternativa): dicevano che eravamo ormai un nucleo di informazione capace di spostare le opinioni. Sono arrivati, via via, i politici, i presentatori televisivi, gli attori, i beniamini del calcio: gente miliardaria con uno staff alle spalle grande così, che arrivava dopo di noi. Un senatore nero è diventato presidente degli Stati Uniti così facendo, altri si sono rovinati e sono incappati in qualcosa peggiore della morte fisica, organica, cioè quella pubblica, telematica, la morte che non conosce indulto, che non conosce riconsiderazione, che non fa dire agli altri "era una così bella persona".

Ci puntavano il dito perché ci nascondevamo dietro i nickname e non si sapeva mai se quella che teneva il blog erotico era effettivamente una fica oppure no. C’era questa grande incertezza nei confronti di tutte le cose e noi la combattevamo scrivendo, combattevamo l’ansia dell’eternità con la certezza della condivisione: ancora oggi credo che fosse tutto lì e che sia ancora tutto lì, quando quello che facciamo adesso è sempre la stessa cosa, anche se sono cambiati usi e nomenclatura e se i nomi e i cognomi si sono sostituiti a quei richiami di fantasia che, già di per sé, rivelavano passioni e abitudini, ironie e debolezze. Abbiamo fatto amicizia, ci siamo conosciuti, abbiamo litigato, a un certo punto non ci siamo più trovati e le pagine bianche che ristagneranno da domani, al posto di quelle home page piene di anima di ieri, siamo noi, noi che dovevamo essere i perdigiorno, i falliti, gli invasati-sempre-davanti-al-computer e che invece ci siamo ritrovati ad essere i padroni di casa, quelli che hanno aperto la porta ai primi arrivati e che adesso raccolgono tutti i bicchieri abbandonati sui pavimenti e dànno un’ultima occhiata nostalgica a quei nomi scritti sopra coi pennarelli - stefano havana, moblife, andycapp, vicerey, johnnydurelli, trentamarlboro, eiochemipensavo, ombresovrapposte, personalitàconfusa, parmachiara, indignato, marcusdaly, noitrentenni, ataru, noantri - prima di infilarli nei grandi sacchi neri della monnezza e cambiare argomento.

1 commento:

spider ha detto...

Questo sarebbe uno di quei post da millemila commenti e invece... bah